
Dark web e ricchezza
Potrebbe sembrare eccessivamente provocatorio, ma il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese rappresenta il primo avvenimento che certifica il ritorno alla normalità, dopo un periodo in cui tutti noi abbiamo vissuto in sospensione. Schierarsi a favore di una delle parti nella contesa tra Israele e Palestina non è mai conveniente, avere un’opinione chiara e netta sulla questione è molto difficile. Diritto all’esistenza contro diritto a vivere nella propria terra, fanatismo ebraico contro fanatismo islamico, soprusi e violenza contro terrorismo: sono questi i fattori su cui si incardina da più di settant’anni il conflitto in Medio Oriente, senza contare la matassa di interessi, opportunismi e connivenze straniere che complicano la situazione. Di certo i colpi scambiati dai due contendenti hanno riacceso il dibattito politico internazionale, da tempo bloccato sul medesimo argomento: rientra in gioco Netanyahu che sembrava ormai condannato a dover affrontare un processo che potrebbe determinare la sua fine politica, riappaiono (questa volta in maniera più cauta) i vari governanti mediorientali, finora abbastanza riluttanti ad occuparsi di pandemia, riemerge Erdogan, il sultano, il quale si precipita a voler dare manforte ai palestinesi, mentre dovrebbe occuparsi dell’economia del suo paese, riemerge dall’oblio la politica internazionale tutta, con le sue dichiarazioni di facciata. La particolarità di questo nuova puntata del conflitto è che nelle strade delle città israeliana si sono verificati numerosi scontri tra estremisti ebrei ed arabi, con numerosi episodi di razzie e violenze, che il premier israeliano Netanyahu ha etichettato come anarchia. In realtà si tratta di una conflittualità tutta interna alla società israeliana, acuita dalle difficoltà economiche derivanti dalla pandemia e che potrebbe creare una frattura insanabile.
Da guerra convenzionale a guerra asimmetrica. Una delle principali pipelines degli USA, Colonial Pipeline, che rifornisce gli stati della costa Est, ha subito un attacco cibernetico ed ha costretto le autorità governative a chiuderlo per evitare il diffondersi della minaccia. Sarebbero stati già individuati gli esecutori dell’attacco, un gruppo denominato Darkside e proveniente dall’Europa dell’Est, anche se il presidente Biden si è affrettato a precisare che il governo russo non è implicato nella faccenda. Il blocco di Colonial Pipeline ha creato subito danni per i rifornimenti, generando panico tra la popolazione della costa Est e l’aumento immediato del prezzo del gas. Secondo alcune fonti sarebbe stato pagato un riscatto per liberare le strutture informatiche dell’azienda, si parla di 5 milioni di dollari, ovviamente in bitcoin. La situazione dei rifornimenti sta ritornando con lentezza alla normalità, ma quanto accaduto ha evidenziato un rischio importante per le aziende strategiche statali, ovvero che gruppi di hacker, non per forza legati a governi conniventi, possano bloccare interi settori attraverso attacchi informatici. Il sistema infrastrutturale ed energetico americano è particolarmente obsoleto ed il rischio di soccombere ad attacchi informatici, anche non di complicata fattura, è molto alto e pone un grosso interrogativo sul futuro.
Un futuro che è già stato messo a dura prova dalla pandemia e che potrebbe presentare ulteriore sorprese. Proprio nel momento in cui negli USA si cerca di ritornare alla normalità, autorizzando il non utilizzo della mascherina per coloro che hanno completato il ciclo vaccinale, si è affacciato lo spettro dell’inflazione. Alcuni dati economici rilasciati nel corso della settimana hanno mostrato un aumento dell’inflazione, anno su anno, pari al 4.2%. Il rilascio di questi dati ha immediatamente creato scompiglio nelle borse di tutto il mondo, Wall Street in testa, timorose che l’aumento dell’inflazione avrebbe portato alla fine degli stimoli economici delle banche centrali che da tempo sostengono le principali economie. Non è questa, però, la principale preoccupazione di Pechino, la quale è preoccupata dei dati riguardanti la sua popolazione che ha diminuito il suo ritmo di crescita. La popolazione cinese ha raggiunto gil 1.4 miliardi di abitanti nel 2020, con un aumento di soli 72 milioni di abitanti rispetto al 2019: inoltre ci sono state soltanto 12 milioni di nascite, contro le 14.6 milioni dell’anno precedente. Sono dati importanti per la leadership cinese che potrebbe essere costretta a rivedere la sua politica sul controllo delle nascite negli anni a venire. Il problema demografico pone un serio interrogativo sul sistema pensionistico cinese, ma soprattutto sulla capacità di mantenere la crescita economica ad un livello tale da garantire un pò di ricchezza a tutti. I cinesi, insomma, rischiano di diventare vecchi prima che ricchi.
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