La storia tra pesca e brevetti

La storia tra pesca e brevetti

In questi tempi così complessi, in cui la storia scorre veloce anche se non si capisce bene verso dove, tutto ci saremmo aspettati di vedere tranne Francia e Gran Bretagna sull’orlo di una guerra. E per la pesca poi! Ovviamente nessuna guerra in corso, anche se le scene conflittuali viste al largo dell’isola di Jersey hanno creato non poche tensioni presso le cancellerie di Londra e Parigi. E’ accaduto che i pescatori francesi che agiscono al largo dell’isola di Jersey, protettorato britannico anche se situato a sole 14 miglia dalle coste della Francia, si sono visti imporre condizioni sempre più restrittive per poter pescare in quelle acque e hanno deciso di protestare, bloccando l’accesso delle navi al porto di St. Helier. Londra e Parigi hanno subito dispiegato le loro navi militari, a scopo preventivo, per riportare la calma, anche se non troppo velate sono state le parole della ministra francese per gli Affari Marittimi Annick Girardin che ha minacciato di togliere la corrente all’isola. La situazione si inscrive nei complessi accordi legati alla Brexit, che sembra ormai una cosa lontanissima, ma che proprio sulla pesca aveva dovuto affrontare le problematiche maggiori. E chissà magari c’entra il fatto che da quando è uscita formalmente dall’Unione Europea, la Gran Bretagna ed il suo premier Boris Johnson hanno inanellato una serie di successi e affermazioni. Eppoi in Francia, nel 2022, ci sono le elezioni e mentre i sondaggi danno una Marine Le Pen in vantaggio, chissà che l’esempio britannico non possa diventare un tema della campagna elettorale.

Il tutto accade proprio mentre la diplomazia sta riprendendo il suo corso normale: a Porto, infatti, si sta svolgendo, finalmente in presenza (eccetto Angela Merkel) il Social Summit, un evento informale promossa dalla presidenza portoghese del Consiglio dell’Unione Europea, avente come scopo la definizione dell’agenda sociale europea per i prossimi anni. Ovvio che uno dei temi principali del summit saranno i vaccini. soprattutto con riguardo alla possibilità di concederne i brevetti gratuitamente ai paesi più in difficoltà e con minori possibilità economiche. La discussione è stata introdotta dal presidente USA Joe Biden, che ha rimarcato la necessità di concedere gratuitamente i brevetti, in modo da consentire alle singole nazioni di dar vita a produzioni nazionali. La “sudditanza” nei confronti della presidenza USA da parte dell’establishment europeo, venuto fuori da quattro anni difficili con Donald Trump, ha generato un coro di voci favorevoli nei confronti di questa soluzione (adesso si stanno sfilando tutti). Unica voce fuori dal coro Angela Merkel, la quale, dovendo anche proteggere l’industria farmaceutica nazionale, ha sottolineato che rilasciare brevetti non è la soluzione, ma bisognerebbe agire sul fronte della produzione e della distribuzione. Ed in effetti la tecnologia alla base dello sviluppo dei vaccini mRNA è davvero molto complicata da replicare in nazioni poco sviluppate che non posseggono la necessaria expertise e le strutture dedicate. Un processo del genere richiederebbe anni e probabilmente avrebbe l’effetto distorto di spingere le aziende produttrici a cessare le loro attività di ricerca.

Inutile dire che il beneficiario principale di un’eventuale concessione libera dei brevetti sarebbe la Cina: la proprietà intellettuale rappresenta un argomento spinoso, di cui sentiremo parlare molto nei prossimi anni, soprattutto in ambito WTO, nella contesa geopolitica che si sta instaurando tra Washington e Pechino. L’arrivo di Joe Biden, che sostanzialmente sta avendo nei confronti della Cina lo stesso atteggiamento del suo predecessore, forse anche diplomaticamente più duro, ha avuto il merito di aver ricompattato il fronte europeo, che pure aveva fatto qualche concessione a Pechino. E’ di questi giorni la decisione degli organi europei di porre in stand by l’accordo commerciale con la Cina, frettolosamente sottoscritto proprio nei giorni in cui si insediava la nuova amministrazione Biden. I motivi citati per questo cambio di rotta riguardano le questione Hong Kong e Taiwan, nonché le discriminazioni ai danni degli Uiguri nello Xinjiang, ma è evidente che lo shift è connotato principalmente da questioni strategiche. Rimane in bilico solo la posizione della Germania, sempre molto preoccupata di mantenere i rapporti commerciali con il suo principale acquirente. Ma a settembre ci saranno le elezioni in Germania e a quanto pare, assente la Merkel, in vantaggio sono i Grunen (i Verdi), i quali hanno un atteggiamento molto più diffidente nei confronti di Pechino.

Nel mezzo di questa serie di nuove sfide, ogni tanto la vecchia cara politica fa capolino, e le elezioni riprendono il centro della scena. Nelle elezioni per la comunità autonoma di Madrid c’è stata una netta affermazione del Partito Popolare guidato da Isabel Dìaz Ayuso. La vittoria di Ayuso non ha soltanto riportato in auge la destra spagnola, ma ha creato un vero e proprio terremoto politico che potrebbe avere effetti molto più ampi: i Socialisti, ora al governo nazionale, hanno perso molti voti, Podemos e Ciudadanos, due delle formazioni venute fuori dall’onda populista spagnola, sono quasi spariti, Pablo Iglesias, leader proprio di Podemos, ha annunciato il ritiro dalla scena politica. Quella vista a Madrid è una dinamica che potrebbe palesarsi non solo a livello nazionale, ma anche a livello europeo, ovvero il ritorno della destra al governo, sfruttando in particolare l’insoddisfazione per il protrarsi della crisi economica dovuta al Covid-19. Un grattacapo potrebbe giungere a Boris Johnson dalla fiera Scozia, dove le elezioni parlamentari hanno consegnato una maggioranza solida allo SNP, partito nazionale scozzese guidato da Nicola Sturgeon. La leader scozzese, la quale non godrà delle maggioranza assoluta per un solo seggio, ha rinfocolato subito le pretese indipendentiste scozzesi e si appresta ad essere una spina nel fianco di Londra. Il vecchio sogno indipendentista scozzese è sempre vivo e le tensioni sulla scelta di Londra a favore della Brexit, osteggiata dalla maggioranza degli scozzesi, hanno ridato slancio ad un movimento che dopo il fallito referendum del 2014 sembrava avviato verso l’inconsistenza. Ma la storia fa strani giri e questioni ormai dimenticate all’improvviso ritornano, presentando un conto salato.

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